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PAPA' MEKONG

 

EDIZIONI INFINITO - © 2011 – Pagine 279 - Prefazione ALDO CAZZULLO

 

Papà Mekong ha il merito non solo di raccontare terre e personaggi lontani, ma anche di aprire la nostra mente e il nostro cuore a popoli che crediamo estranei, a uomini e donne che non abbiamo incontrato e non incontreremo.

Corrado Ruggeri ci parla di villaggi e orfanotrofi; ci ricorda che i poveri della terra esistono, e non sono soltanto le migliaia di Lampedusa, ma miliardi che restano a casa, o cercano di costruirsela sulla propria terra. E ci spiega che loro certo hanno bisogno di noi; ma nache noi abbiamo molto bisogno di loro.

 

 

Parte dei diritti d’autore di questo libro sono devoluti a Ecpat Italia per sostenerne i progetti in Cambogia a favore dei bambini vittime dello sfruttamento sessuale.

PENSIERI SOTTO IL CAPPELLO

 

 

Un viaggio solitario nel Vietnam alla scoperta di che cos'è e cosa sarà, di cosa è stato e come proseguirà il cammino.

Tutto ha inizio in mezzo al traffico intricato di Saigon, dove, all'incrocio con tante strade dai nomi inaccessibili, bisogna scegliere quale prendere. Da qui, fino a Sapa, montuosa punta a nord del paese, passando dal bacino paludoso del detta del Mekong e risalendo su sgangherati treni con cuccette a tre piani.

Lungo la via, vietnamiti generosi e instancabili viaggiatori sono pronti a dare consigli, indicare, raccontare.

Ascoltare la voce degli altri come quella del vento lungo la costa.

Osservare gli occhi curiosi dei vietnamiti e scrutare oltre la nebbia di Ha Long alla ricerca di quello che cela.

Un viaggio per mettersi in gioco, per affrontare il mondo, le paure, le incertezze, in un paese agli antipodi della propria quotidianità.

Per comprendere che si può camminare, oltre i propri limiti e timori.

 

 

 

 

SOFFI DI VENTO SUL VIETNAM

 

Pagine 140 - Illustrazione di Paolo Ferrari (Increspature d’acqua, 2004)

 

 

"Il generale in pensione" scosse come un Terremoto il Vietnam quando, nel 1987, fu pubblicato dalla rivista "Van Nghe". Nel racconto dell'allora sconosciuto Nguyen Huy Thiep, il potere politico subito percepì lo stravolgimento dei gloriosi ideali rivoluzionari, i Vietnamiti sentirono all'improvviso la drammatica frattura che stava incrinando la società, i giovani colsero l'audacia di uno spirito libero.

Dopo anni di guerra, tornare a casa dal figlio ormai sposato diventa per il generale Nguyen Thuan l'esperienza sconvolgente d'un clima mutato radicalmente e per nulla eroico.

Nella prosaicità della vita ordinaria egli non ritrova i valori rivoluzionari né quelli della tradizione. Gli è impossibile accettare che, in un quotidiano fatto principalmente di concretezza, si faccia strada la scoperta sorprendente di una vita individuale libera dai canoni del conformismo ideologico.

Thiep propone tutto ciò senza il minimo compiacimento, attraverso il linguaggio del quotidiano, ricorrendo con talento a una prosa priva di aggettivi magniloquenti e di chiavi interpretative. Lo stesso stile sobrio e diretto con il quale, negli altri racconti qui raccolti, narra la straordinarietà e l'insensatezza della vita reale, descrive il coraggio insito nel modulare la tradizione sull'esigenza del futuro, mostra la fragilità e l'ostinazione di chi abita i piccoli villaggi alle pendici delle montagne, comunica il soffio dell'animo vietnamita, fa sentire la voce variegata di un popolo.

 

 

 

 

Nguyen huy thiep è considerato il maggior scrittore vietnamita contemporaneo.

Nato nel 1950 in un villaggio alla periferia di Hanoi, frequenta le scuole cattoliche sebbene di madre buddista e nonno confuciano. Laureato in Storia all'Università di Hanoi, fino al 1980 insegna nelle scuole della regione montagnosa al confine con il Laos. Rientrato ad Hanoi fa l’illustratore di testi scolastici per il Ministero dell'Educazione sino al 1986, quando inizia a pubblicare i suoi racconti. I suoi scritti provocano scandalo, gli editori lo rifiutano, il potere politico lo relega agli arresti domiciliari.

Oggi, riconosciuto in patria e tradotto con successo in altri paesi, gode di una certa libertà e può recarsi all'estero, tuttavia i suoi scritti sono ancora temuti per l'influenza che esercitano sull'animo vietnamita.

 

Franco la cecla, antropologo, architetto e docente universitario ha affrontato il tema dell'organizzazione dello spazio contemporaneo tra luoghi e "non-luoghi", occupandosi di soglie e confini tra le culture. Più volte in Vietnam, ha conosciuto Nguyén Huy Thièp e lo ha intervistato per O barra O. Proponiamo il testo che ne è derivato.

OLTRE IL SILENZIO DELLE ARMI

 

AIPSA EDIZIONI - © 2008 - Pagine 145

 

A cura di Sandra Scagliotti e Nicola Mocci

 

II popolo vietnamita ha per lungo tempo combattuto per la sua libertà, la sua indipendenza e la siua unità. Il Vietnam oggi è un grande paese, con ottanta milioni di abitanti, che vive in pace, ma il cui sviluppo è ancora ostacolato dalle conseguenze dell’Agente Arancio, il defogliante a base di diossina sparso in maniera massiccia sul Vietnam meridionale durante la guerra. Fu la prima guerra chimica mediatizzata e per il Vietnam si trattò di una catastrofe sanitaria e ambientale, e lo è ancora oggi, perché gli effetti della diossina persistono, continuando silenziosamente l’opera di distruzione.

La popolazione vietnamita è colpita nella sua carne, nei suoi figli, nel suo ambiente.

La questione dell’Agente Arancio che si estende, seppur in misura meno evidente al Laos e alla Cambogia, solleva numerose questioni sul piano umanitario, scientifico, politico e giuridico che vengono presentate in questo lavoro in cui si ricordano innanzitutto l’origine e la natura del problema e si forniscono indicazioni sulle prospettive in campo ambientale, sanitario, sociale e giuridico.

MEMORIE

IL QUARTIER GENERALE ALLA VIGILIA DELLA GRANDE VITTORIA

 

Editrice aurora 2014

 

Traduzione dall’inglese MORGAN FORTINI

Curatore NUNZIA AUGERI

Impaginazione LIMPRONTA GRAFICA

 

Nell’ambito della propria attività di divulgazione della storia e della cultura

del Viet Nam, l’Associazione Nazionale ITALIA/VIET NAM ha promosso la pubblicazione di questo volume, tradotto dall’inglese.

Dalla sua costituzione, nel 1986, l’Associazione svolge un’attività svolta a far conoscere la realtà sociale, culturale e istituzionale della Repubblica del Viet Nam. Al tempo stesso è impegnata a favorire ogni forma di scambio culturale fra le due nazioni, agevolando anche l’accesso di studenti vietnamiti nelle scuole e nelle università italiane e formando giovani italiani alla conoscenza scientifica e culturale del Viet Nam e del Sud Est Asiatico.

 

LA GUERRA DEL VIETNAM

Il Vietnam è stato lo scenario di grandi tensioni nel periodo della guerra fredda, già a partire dagli anni Cinquanta, quando erano i francesi a essere impegnati nella loro colonia indocinese, ma soprattutto dopo l'escalation sfociata nella guerra fra nord comunista, appoggiato da Cina e Unione Sovietica, e sud reazionario, forte del sostegno economico e poi militare degli Stati Uniti, i quali, sotto la presidenza di Johnson e poi di Nixon, scelsero la strada dell'intervento diretto nell'area.

Lo scontro fra la superpotenza americana e il piccolo Vietnam del nord fu un drammatico banco di prova per gli equilibri del mondo bipolare e per l'opinione pubblica statunitense e occidentale.

Il volume ripercorre la storia di questa guerra, dalle sue lontane premesse storiche sino al disimpegno statunitense nel 1975 e all'arrivo dei nord-vietnamiti a Saigon nel 1975.

Il resoconto si concentra non solo sugli avvenimenti militari ma anche sul contesto internazionale dell'intervento americano e sulle ripercussioni interne agli Stati Uniti, dove l'opposizione alla guerra fu uno degli elementi forti che alla fine degli anni Sessanta coagularono la rivolta giovanile e un vasto movimento di opinione.

 

 

Mitchell K. Hall insegna Storia nella Central Michigan University.

Ha pubblicato anche «Because of Their Faith. CALCAV and Religious Opposition to the Vietnam War» (1990).

QUADERNI VIETNAMITI

 

A cura di:

Sandra Scagliotti

 

ARGOMENTI:

-Una finestra sul Vietnam

-Contributi sulla storia coloniale: oggetti, luoghi, complessità

-Le metamorfosi dell'Indocina

-Le minoranze etniche in Vietnam

-Il Vietnam in musica

-Costumi imperiali e artigianato tessile

-Letture asiatiche

HISTORIA 1970 PACE

NEL VIETNAM

Milioni di cristiani abitano il martoriato paese del Sud-Est asiatico. Per loro il Natale e il nuovo anno portano una concreta speranza di serenità. Decine di migliaia di soldati americani se ne tornano a casa, mentre trent’anni di guerre insensate sembrano trovare finalmente una conclusione umana e ragionata al tavolo delle trattative.

 

Americani e Russi hanno continuato a costruire dalla fine della seconda guerra mondiale in poi armi strategiche sempre più perfette e sempre più potenti. E continuano a fabbricarne. Oggi — si dice in certi ambienti ritenuti competenti in analisi del genere — il nostro globo è « minato » con cariche nucleari valutate 12.000 megaton. E ciò senza tener conto di quanto hanno fabbricato o possono fabbricare Francesi, Inglesi e Cinesi, seppur soltanto come deterrente. Dodicimila megaton a un incompetente, ossia alla stragrande maggioranza degli abitanti di questa terra, non dicono niente. Si tratta invece di una cosa enorme, apocalittica. L'esperto ci informa che una carica del genere potrebbe far saltare, forse, l'intero pianeta.

Questo potenziale è così suddiviso: Stati Uniti 3.924 ogive nucleari, URSS 3.070.

Per il trasporto, o il lancio, di queste bombe, o testate, i due massimi antagonisti dispongono dei seguenti mezzi: missili intercontinentali: U.S.A. 1.054, URSS 1.150; sottomarini atomici: U.S.A. 41, URSS 18; razzi del tipo Polaris: U.S.A. 656, URSS 160; bombardieri strategici: U.S.A. 450 «B52» e 60 « B58 », URSS 150 «Bisonti».

Gli Americani inoltre posseggono l'arma perfetta, quella che l'autorevole « Express » ha con puntuale efficacia battezzato l'idra di fuoco del cielo, la bestia dalle dieci teste, ognuna delle quali può vomitare un ordigno nucleare in qualsivoglia direzione e annientare un determinato obiettivo, anche una intera città.

I Russi non sono da meno degli Americani e hanno costruito un'analoga arma. Pur non essendo riusciti, al contrario dei tecnici statunitensi, a mettere a punto il sistema di guida indipendente, sono giunti a una realizzazione di portata enorme, tale che induce a meditazioni funeree.

In questa situazione, la guerra, fredda e calda, ha perduto ogni significato. Il primo che spara può essere certo di essere il secondo a morire. Americani e Russi si sono rincorsi per più di due decenni sul terreno infido dell'armamento e ora sono giunti a una tappa che per entrambi è la tappa dell'angoscia. Un risultato paradossale; gli uni e gli altri hanno paura e del nemico e di se stessi. E hanno paura per sé e per il resto del mondo.

È stato in quest'atmosfera di giustificata

ansietà che ha preso corpo l'idea di

una trattativa volta alla limitazione delle

armi strategiche.

Le due parti dovrebbero accordarsi su una

tregua nella fabbricazione e nell'entrata in

funzione dei nuovi ordigni nucleari.

Questi colloqui, che hanno avuto inizio a Helsinki, in teoria dovrebbero, dunque, ricercare una parità fra le due potenze nella capacità sia offensiva che difensiva, affinché il pericolo di una guerra sia definitivamente scongiurato.

Forse mai come in questo momento Stati Uniti e Unione Sovietica hanno pensato tanto sinceramente alla pace.

Né ha più alcun senso la guerra che si combatte nel Vietnam. Gli Americani ve l'hanno intrapresa credendo che questo fosse l'unico mezzo per portarvi la libertà o per difenderla. Ma anni di lotta, di privazioni, di paure, subite da centinaia di migliaia di combattenti hanno dimostrato che l'iniziativa è stata inutile.

Gli Americani hanno avuto finora 40.000 morti all'incirca e 260.000 feriti; i Vietcong più di mezzo milione di perdite. Eppure ogni giorno c'è un nuovo gruppo di vietnamiti che si dà alla macchia.

 

Ognuno di essi diventa un « tiratore invisibile », l’ossessione degli Americani. E le mogli dei Vietcong e i loro bambini sono anch'essi una forza che gli Americani non sono in grado di neutralizzare: le une minano le strade, i sentieri per i quali devono passare i nemici, gli altri, se non possono ancora essere utili in questo genere di lavoro, fanno buona guardia, avvertendo tempestivamente le loro madri quando stanno per arrivare gli Americani. Questa accanita resistenza vietcong ha da tempo fiaccato le truppe americane.

D'altronde, episodi efferati quali il massacro di Song My, risaputo nello scorso novembre, hanno fatto comprendere ai soldati americani che la guerra nel Vietnam non ha invero quell'aspetto di crociata che gli uomini politici hanno voluto darle e nessun combattente ha più fede in essa. È una guerra impopolare, perché non è stata decisa dal popolo americano, ma imposta da una linea politica e perciò tutti ne sono ormai sazi. Negli Stati Uniti, ogni settimana diserta dalle file dell'esercito, per non finire nel Vietnam, almeno mezzo migliaio di soldati. Questo fatto comprova come sia ormai difficile per un Americano trovare una causa per cui combattere laggiù.

E altri infiniti episodi concorrono a portarci alla stessa convinzione. Val la pena di ricordare a questo proposito la decisione presa da sette ufficiali e da un centinaio di soldati americani ricoverati nell'ospedale di Pleiku, nel Vietnam, di rinunciare, nella Giornata del Ringraziamento, al tradizionale tacchino e di chiedere che le 107 razioni venissero assegnate ai bambini di un orfanotrofio.

Un digiuno, il cui significato è stato così esposto alla stampa dal capitano medico direttore dell'ospedale: « Dopo che, giorno dopo giorno, vedete uomini senza un braccio o senza una gamba perché un'esplosione gliel'ha portata via e vivete in un ospedale pieno di diciottenni, non riuscite più a trovare giustificazioni per una simile guerra ».

Il massacro di Song My ha prodotto enorme sensazione negli Stati Uniti e sta mobilitando larghi strati della popolazione per un vasto movimento antibellicista. Sono ormai pochi gli Americani — a meno che non siano razzisti o di destra — a voler che la guerra nel Vietnam continui. « La mia patria a torto o a ragione » è un pensiero che non è più tanto diffuso negli Stati Uniti. E non solamente da quando l'opinione pubblica è stata messa al corrente del massacro di Song My. La prima imponente manifestazione antibellicista, quella svoltasi a Washington e battezzata « Marcia della morte », ha inciso profondamente anche fra gli uomini politici, molti dei quali, in un improvviso voltafaccia, si sono preoccupati di dichiarare ufficialmente che erano contro la guerra nel Vietnam, In quella memorabile giornata, 40 mila giovani hanno sfilato presso la Casa Bianca, portando ciascuno un cartello su cui era stato scritto il nome di un combattente morto. E, passando accanto al cancello principale, scandiva alto quel nome. Altri cartelli recavano la scritta: «Richard Nixon stop the war!», Nixon fai cessare la guerra.

Ora, dopo la scoperta del massacro di Song My, queste voci diventano sempre più frastornanti e il presidente deve escogitare quanto prima il mezzo per sbrogliarsi dal Vietnam.

Né possono valere le citazioni da parte di alcuni giornali americani delle « liquidazioni in massa » compiute in precedenza dai Vietcong, fra le quali ad esempio l'eccidio perpetrato nel febbraio del 1968 a Hué, in cui 2.500 civili furono uccisi e sepolti in fosse comuni. Non possono valere, perché gli americani non hanno mai condotto guerre di rappresaglia. Molto probabilmente Nixon è incline, se non a far cessare del tutto le ostilità nel Vietnam, a ritirare a scaglioni l'esercito americano. Alcune decine di migliaia di combattenti sono già rientrati in patria negli ultimi due mesi. Nixon, a quanto si è compreso, vuole districarsi da questa pesante eredità, che ha trovato sul suo tavolo di lavoro, con una certa dignità, perché la sua preoccupazione principale, dopo il sacrificio inutile, è la possibilità che l'America perda il suo prestigio, che la sua nuova politica di devietnamizzazione della guerra sia interpretata come una ritirata rovinosa, come una disfatta.

Gli uomini di sinistra e altre organizzazioni impegnate insistono perché, anziché devietnamizzare, si abolisca del tutto questa guerra insensata.

Nixon, con i suoi dosati ritiri di truppe sta dando un contentino ai gruppi antibellicisti più esigenti e contemporaneamente spera che si consolidi quella che l'America ha definito « Maggioranza silenziosa », una grande parte dell'opinione pubblica degli Stati Uniti che è convinta come, con un po' di spirito patriottico, gli Americani, in possesso di un massiccio potenziale offensivo, potrebbero vincere in brevissimo tempo la guerra.

Questa maggioranza silenziosa però è costituita prevalentemente da gente che non legge, ricorda poco i grandi avvenimenti politici e nazionali e, soprattutto, non scende nelle piazze a manifestare. È, dunque, una maggioranza che non è in grado di capire la natura della guerra nel Vietnam. Al contrario, la minoranza è costituita da alcune decine di milioni di persone che scendono compattamente in strada a manifestare il proprio dissenso con argomentazioni che fanno presa quasi sempre su quegli strati della popolazione che politicamente possono essere qualificati indecisi.

E tutta la loro azione dà risultati considerevoli. I palloncini neri lasciati andare nel cielo di New York a decine di migliaia sono rimasti impressi in milioni di Americani. È un'immagine — il cielo della metropoli riempito di morti — che non si scorda facilmente.

Nixon deve prendere sollecitamente e con responsabilità una soluzione. Ormai tutto sta a indicare che l'America è nella stragrande maggioranza favorevole soltanto a un'azione di pace. Il resto del mondo occidentale, indubbiamente, continuerà ad avere fiducia nella « leadership » americana anche se verranno ritirati dal Vietnam cinquecentomila militari e la guerra si concluderà senza una vittoria.

PHILIP O'CONNOR - HISTORIA - GENNAIO 1970

Traduzione vietnamita della

Divina Commedia di Dante Alighieri( Thần khúc)

a cura del Prof. Nguyen Van Hoan

** Chi è il prof. Nguyen Van Hoan?

Nguyen Van Hoan è docente di Letteratura Vietnamita e Letteratura Italiana presso l'Istituto di Letteratura vietnamita dell'Accademia delle Scienze Sociali ed Umane del Viet Nam.

 

È l’ex Presidente onorario del Comitato Dante Alighieri di Hanoi e

Vice Presidente dell'Associazione di Amicizia Viet Nam - Italia.

 

Negli anni 1978 e 1979 ha studiato l'italiano presso l'Università italiana per stranieri di Perugia. Ha poi effettuato un Soggiorno di ricerca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma - "La Sapienza", e da allora si è interessato di Letteratura Italiana. Dopo il ritorno in Viet Nam ha tenuto il primo corso di Storia della Letteratura presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Hanoi.

 

Socio dell'Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana di Padova, Socio della Società Dante Alighieri di Roma e della Società Dantesca Italiana di Firenze. Membro del Comitato Scientifico di "Quaderni Vietnamiti", periodico del Centro Studi Vietnamiti di Torino e membro del Comitato Scientifico della Rivista Annuale "Letteratura Italiana Antica" di Roma.

 

Negli anni 1999-2001 ha tenuto il Primo Corso di Lingua e Letteratura Vietnamita presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università degli Studi di Torino.

 

PUBBLICAZIONI

- TRUYEN KIEU - Edizione critica (in vietnamita) - Hanoi 1965;

- ANTOLOGIA DELLA LETTERATURA VIETNAMITA - Tomo I (in francese) in collaborazione con Nguyen Khac Vien -Hanoi 1972;

- DIZIONARIO VIETNAMITA/ITALIANO/VIETNAMITA in collaborazione con Carlo Arduini - Hanoi 1999, 2002, 2004, 2007;

 

- ha fatto parte del gruppo di traduttori in vietnamita dei libri di P.E. Taviani - "Il Genio del Mare" e "La meravigliosa avventura di Cristoforo Colombo";

- I CA DAO DEL VIET NAM la poesia popolare" - in collaborazione con Pino Tagliazucchi - Milano 2000, Hanoi 2002;

 

- LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri - traduzione dell'Inferno (già pubblicato) - l'intera opera sarà pubblicata, in vietnamita, entro il 2009.

 

 

L’Ambasciata d’ Italia ha organizzato lunedì 16 novembre 2009 alle ore 15 presso la Residenza dell’Ambasciatore d’Italia la presentazione ufficiale della prima traduzione completa in lingua vietnamita della "Divina Commedia" di Dante Alighieri a cura del Prof. Nguyen Van Hoan.

La "Divina Commedia" è il capolavoro di Dante Alighieri ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale.

Il poema è diviso in tre libri, ciascuno formato da 33 canti (tranne l’Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all’intero poema), per un totale di 100 canti; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi. Si narra di un viaggio immaginario compiuto da poeta stesso nei tre regni dell’aldilà – Inferno, Purgatorio e Paradiso – nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno.

 

Dante Alighieri, padre della lingua italiana, personalità tra le più straordinarie che l’Italia abbia mai conosciuto, è stato poeta, pensatore, politico fiorentino del Medioevo. Universalmente conosciuto per la "Divina Commedia", fu autore di numerose altre opere di carattere letterario, politico e filosofico. Morì in esilio nel 1321 .

Il prof. Nguyen Van Hoanha realizzato la prima traduzione integrale della "Divina Commedia" in lingua vietnamita. "È con estrema gioia e gratitudine che accogliamo l’opera di traduzione di Nguyen Van Hoan che ha realizzato la prima traduzione integrale in lingua vietnamita di uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi. Questo importante lavoro di traduzione rende ora accessibile al pubblico vietnamita un capolavoro del genio umano" – dice l’ Ambasciatore d’ Italia, S.E. Andrea Perugini.

 

 

 

 

Al Convegno internazionale ''Leggere Dante oggi" a Roma, 24-26 Giugno 2010:

 

PERCHÉ HO AVUTO IL CORAGGIO DI TRADURRE " LA DIVINA COMMEDIA "? LE MIE DIFFICOLTÀ

 

Cari colleghi,

Con grande piacere che oggi partecipo a questo incontro, a Roma, tra traduttori e studiosi delle opere di Dante venuti da diversi paesi del mondo. A dire il vero sono venuto qui senza aspettarmi null' altro che - come recita un proverbio vietnamita -"appoggiarmi a una colonna e ascoltare tutti gli altri", cosa che certo non approverebbe il nostro gentile collega, il professor János Kelemen, presidente della Società Dantesca Ungherese, pertanto in questa occasione mi trovo costretto a "parlare latino davanti ai Cordiglieri". Vi prego dunque di comprendere le mie intenzioni e di non aspettarvi da me una vera relazione scientifica, quanto piuttosto alcune confidenze di un uomo che, "nel mezzo del cammin di nostra vita" s'era perduto casualmente in una foresta misteriosa chiamata La Divina Commedia.

 

PERCHÉ HO AVUTO IL CORAGGIO DI TRADURRELA DIVINA COMMEDIA?

In passato nel nostro paese, per precise ragioni storiche, i lettori non potevano conoscere in modo relativamente sistematico se non le letterature cinese, francese, russa e sovietica... Quanto alle altre letterature, la loro conoscenza era limitata. Per esempio, fino a poco tempo fa, pochissimi vietnamiti conoscevano l'italiano, e gli intellettuali vietnamiti conoscevano l'Italia attraverso le opere e riviste francesi.

 

Nel 1975 il popolo vietnamita depose il regime di Saigon, sostenuto dagli Stati Uniti, e ripristinò l'antica unità del paese. In quell' occasione fu elaborato un piano di riparazione dei danni di guerra e di ricostruzione, compreso l'aumento degli scambi culturali con le nazioni straniere.

 

Alla fine di quell' anno, la Repubblica Italiana aprì per la prima volta la sua ambasciata ad Hanoi; il primo ambasciatore, il celebre sinologo, professor Giuliano Bertuccioli, insistette sulla necessità di avere studenti di lingua e letteratura italiana tra i borsisti vietnamiti mandati a studiare in Italia.

 

All' inizio del 1978 io fui incaricato di questo compito. A quell' epoca ero un giovane insegnante di scuola superiore, con già alle spalle, tuttavia, più di 20 anni di ricerca e di insegnamento della letteratura classica vietnamita; pertanto accettai con entusiasmo l'incarico di venire a studiare in Italia, nutrendo altresì una speranza segreta, ossia di avere la possibilità di accedere alle biblioteche del Vaticano e della Compagnia di Gesù, dove si trovano molti rari e preziosi documenti sulla storia e la cultura del Vietnam.

 

Fu però all' Università per stranieri di Perugia che i bravi professori specializzati nell' insegnamento dell’italiano per stranieri mi trasmisero l'amore per la lingua e la letteratura italiane. Dopo Perugia ottenni un altro soggiorno di studio presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli studi "La Sapienza" di Roma, da cui nacquero il mio interesse e il mio amore per il capolavoro di Dante.Al mio ritorno in Vietnam ho tenuto il primo Corso di Letteratura italiana all' Università di Hanoi.

 

Per concludere, le esigenze del lavoro di insegnamento, insieme alla mia passione per la letteratura antica italiana, mi hanno spinto ad avventurarmi nella traduzione della Divina Commedia dall' italiano al vietnamita, e ciò nonostante i numerosi avvertimenti sulle difficoltà insormontabili esistenti nella traduzione di Dante ricevuti da precedenti traduttori francesi molto validi quali Rivarol e André Pézard.

 

 

LE MIE DIFFICOLTÀ

Le difficoltà che ho incontrato nella traduzione della Divina Commedia sono molte. Mi limiterò a citare alcuni punti principali.

 

La prima difficoltà sta nella differenza tra le due lingue, italiana e vietnamita. Il missionario gesuita di origini milanesi Christoforo Borri (1583-1632), vissuto nel Vietnam centrale dal 1618 al 1622 fu forse il primo italiano a parlare correntemente il vietnamita. Nella sua Relatione della nuova missione delli PP. della Compagnia di Gesù al Regno della Cocincina, pubblicata in italiano a Roma per la prima volta nel 1631, ha sottolineato la ricchezza di vocali della lingua vietnamita, da cui la sua melodia dolce e soave. Sembra quasi che abbia voluto indicare nella ricchezza musicale un elemento comune all' italiano e al vietnamita.

 

L'osservazione del Borri non è infondata, e tuttavia non si può negare che sotto molti altri aspetti l'italiano e il vietnamita sono molto diversi.

 

Contrariamente ai suoi colleghi francesi come Alexandre de Rhodes (1591-1660), Joseph Tissanier (1618-1688)... il Borri non era intimorito della difficoltà dei toni della lingua vietnamita, ma si meravigliava del fatto che tutte le parole vietnamite siano invariabili. Infatti non ci sono né declinazioni né coniugazioni, ma ci sono molte particelle che determinano il genere delle parole, il tempo e il modo dei verbi ecc. Il vietnamita possiede anche numerosi pronomi personali che identificano il ruolo di una persona all' interno della famiglia e la sua posizione sociale più o meno elevata.

 

Nella Divina Commedia compaiono numerosi nomi propri italiani molto lunghi, e in questi casi il traduttore non può che ricorrere alla trascrizione fonetica, con il risultato che la frase tradotta in vietnamita è generalmente più lunga del verso italiano corrispondente, mentre io volevo mantenere la struttura della terzina di Dante e mi sforzano di tradurre ciascun verso italiano con una frase vietnamita, evitando, per quanto possibile, di cambiare la posizione di ciascun verso all' interno della terzina.

 

Ma le difficoltà più insormontabili vengono dalla traduzione della poesia. Lo stesso Dante, con la sua esperienza di poeta, scriveva nel Convivio: "E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare senza rompere tutta sua dolcezza e armonia".

 

Non essendo un poeta, mi sono accontentato di tradurre la poesia di Dante in una prosa ritmica.

 

Nel 2005 ho portato a termine la traduzione dell'Inferno e l'ho fatta pubblicare per saggiare la reazione dei lettori vietnamiti. Colgo questa occasione per ringraziare di cuore il nostro gentile collega e carissimo amico professor Antonio Lanza per aver ospitato nel numero del 2006 della rivista annuale "Letteratura italiana antica", di cui è Direttore, il mio articolo per presentare agli lettori italiani la mia traduzione della cantica dell'Inferno.

 

Per quel che mi riguarda, in quel momento ho acquistato un po' più di fiducia nella possibilità di tradurre l'intera Divina Commedia di Dante, sebbene alcuni amici italiani mi abbiano avvertito che le due cantiche successive della Commedia sono ancora più complicate e ingarbugliate. Ed è verissimo. Pensavo che, nello scrivere l'Inferno, Dante aveva davanti dei modelli concreti, ossia la vita reale e lo svolgimento degli avvenimenti storici; ma, quando si trattò di descrivere il Paradiso, lo spirito di immaginazione dello stesso Dante dovette in parte prescindere da tali dati concreti e librarsi in tutta la sua originalità creativa in direzione più astratta e metafisica. Le due ultime cantiche, poi, sono totalmente aderenti al dogma cattolico. Per chi come me non è cattolico è stato dunque molto più difficile tradurre tali cantiche, tuttavia la Commedia è espressione di tradizione cristiana ma non solo, il tema del peccato, la contrapposizione tra bene e male... sono presenti anche nella cultura e nella letteratura vietnamita, perciò ho seguito Dante lungo il suo cammino attraverso il suo Inferno e poi fino al Paradiso. Alla fine dell'impresa il mio stato d'animo è esattamente come Dante l'ha descritto in questi famosi versi del primo canto dell'Inferno:

 

E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago a la riva,

si volge a l'acqua perigliosa e guata,

così l'animo mio, ch'ancor fuggiva.

 

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Nguyen Van Hoan (Hanoi)

 

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